"Quando smetterai di vestirti da maschiaccio?" è una domanda che mi è stata posta in innumerevoli occasioni da estranei, insegnanti, familiari e amici.
Le mie scelte di abbigliamento hanno sempre messo in discussione la mia femminilità e domande sulla mia espressione di genere mi hanno perseguitato dall'infanzia all'età adulta.
Da bambina ero libera di indossare vestiti da maschio, tute, divise da calcio e persino boxer. Ricordo ancora oggi la gioia che provai quando mia mamma tornò a casa con un pacco di boxer bianchi per me. Volevo essere un ragazzo? No. Non ci pensavo neanche al genere. Volevo solo essere Tanya e indossare abiti in cui mi sentivo a mio agio. Ed è andato tutto bene fino a quando non sono arrivata alle medie, quando le domande sulla mia espressione di genere si sono fatte a dir poco pressanti. Il fatto che nella mia vita quotidiana e nei media non ci fossero riferimenti di donne nere adulte con uno stile mascolino rafforzava l'idea collettiva che per le ragazze vestirsi da maschiaccio era una "fase", qualcosa che avrebbero superato diventando grandi. Questo ha portato a molti anni di femminilità performativa: quando facevo sport o stavo in casa portavo abiti da maschio, mentre in tutte le altre occasioni indossavo abiti da donna e mi truccavo, non tanto perché volessi, ma perché sentivo di doverlo fare. Ho trascorso l'adolescenza e l'età adulta cercando di trovare una conferma del mio essere donna e della mia femminilità indossando abiti femminili, cercando di "sembrare una ragazza", uscendo con gli uomini.
Ricordo ancora una volta in cui stavo uscendo con un ragazzo ai tempi dell'università ed ero in un locale, con i tacchi e un vestito aderente, ma sono andata via presto per tornare a casa. Una volta lì mi sono cambiata: ho messo una tuta e un cappellino, ho preso la bici e sono tornata al locale per incontrare i miei amici. Ho visto il ragazzo con cui stavo uscendo e mi sono sentita piena di vergogna, perché non volevo che mi vedesse vestita così. Sono risalita in bici e sono tornata a casa, rimettendomi subito abiti più femminili perché lui mi aveva detto che sarebbe venuto da me.
Ho passato una vita a sentirmi chiedere se vestirmi da maschio "fosse una fase" ed è stato solo questo senso di vergogna a tenermi lontana dalla sezione dell'abbigliamento da uomo, anche da adulta. Solo negli ultimi anni ho messo da parte la vergogna e mi sono sentita libera di indossare abiti che mi facessero stare bene con me stessa. Spesso questo abbigliamento si trova nelle sezioni da uomo, a volte in quelle da donna, ma la cosa più importante è che ora mi sento abbastanza libera e sicura di me stessa da indossare ciò che voglio. Non mi sento più solo a mio agio con abiti maschili, mi sento sexy, mi sento affermata nel mio essere donna, mi sento nuovamente Tanya. Dopo anni di femminilità performativa, avevo dimenticato chi fossi. Ma ora sono qui e sono pronta a vedere più donne nere queer nelle pubblicità di abbigliamento maschile, sui cartelloni e alla TV. Non voglio che nessun altro provi la mia stessa vergogna, voglio che le ragazze possano indicare donne con uno stile maschile e dire: "Guarda, non è una fase". - Tanya Compas
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